Taglio dei Parlamentari, a che punto sono i correttivi necessari dopo il referendum?

A seguito dell’esito referendario del settembre 2020 è stata promulgata ed è entrata in vigore la nota legge costituzionale n.1 del 2020 relativa al taglio dei parlamentari. La misura, nata dalla voglia di riformare l’assetto parlamentare, fortemente voluta e sponsorizzata dal Movimento 5 stelle, necessita di correttivi finalizzati a bilanciare e riorganizzare gli equilibri interni al Parlamento.

Il percorso di riforma, a detta di alcuni esponenti dell’allora Governo Conte II, si sarebbe dovuto concludere in brevissimo tempo.

Graziano Delrio, ex capogruppo Pd alla camera, il 25 agosto 2020 sul puntodichiarò a il Fatto quotidiano che “in Senato sono in discussione, ed entro il 20 settembre potranno andare in aula, l’allineamento elettorale attivo (18 anni) e passivo (25 anni) del Senato a quello della Camera”.

Ad oggi, però, si registrano diversi rallentamenti in parte dovuti, probabilmente, a contingenze tanto interne quanto esterne allo stesso Parlamento. Il protrarsi della situazione pandemica, la caduta dello stesso Governo Conte II e la formazione di un Governo con a capo Draghi, la necessaria discussione del Piano di Ripresa e Resilienza, il caro bollette dovuto allo scoppiare dalla Guerra in Ucraina, sono tutti fattori che hanno contribuito a far spegnere i riflettori della discussione pubblica sui correttivi.

I correttivi richiesti

Le modifiche che la maggioranza giallorossa – composta da M5S, PD, Le, IV e MAIE – aveva indicato come necessarie sono 4 e riguardano:

  • la riforma dei regolamenti di ambo i rami del Parlamento;
  • l’abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato a 18 anni;
  • il superamento della base regionale per l’elezione di palazzo Madama a favore di quella circoscrizionale;
  • la riduzione da 3 a 2 delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Tornando alla domanda iniziale, a che punto sono i correttivi necessari dopo il referendum?

Allo stato attuale, l’unico portato a termine è il Disegno di legge proposto dall’On. Brescia (M5S) che prevede la modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica. La legge costituzionale n. 1 del 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 20 ottobre 2021, allinea l’elettorato attivo dei due rami del Parlamento prevedendo l’introduzione del diritto di voto ai diciottenni per l’elezione dei senatori.

Ha, invece, da poco superato la prima deliberazione alla Camera il ddl AC 2238, a firma dell’On. Fornaro (LeU) ora all’esame del Senato (AS 2608). Il Ddl ha subito una profonda cesura emendativa durante il suo iter in Commissione Affari Costituzionali. Nel momento della sua presentazione, a novembre 2019, recava tre articoli contenenti modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, relative rispettivamente alla base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e alla riduzione del numero da tre a due dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica. Tra i tre emendamenti approvati uno è proprio a firma dell’On. Fornaro. Lo stesso Onorevole in una seduta della Commissione ha avuto modo di spiegare che la riduzione del numero dei delegati «avrebbe impedito di fatto il rispetto del principio della rappresentanza delle minoranze nell’elezione dei delegati regionali». Il testo, pervenuto e deliberato dall’Aula della Camera, conta ora un solo articolo recante la modifica all’articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica. Il provvedimento si sta mostrando particolarmente divisivo e riprova ne è stato il momento del voto. La maggioranza che sostiene il governo Draghi si è presentata divisa: Forza Italia e Lega hanno espresso parere contrario insieme a FdI. Il motivo sarebbe ravvisabile nella paura del centrodestra che tale disegno preluda a una riforma della legge elettorale di tipo proporzionale.

Restando in tema di legge elettorale, è stato emanato il decreto legislativo n. 177 del 2020, modificativo dei collegi elettorali ed attuativo della legge n. 51 del 2019, d’iniziativa del Sen. Perilli (M5S). Tale complesso di norme assicurano l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari. Sostanzialmente si adegua l’algoritmo del sistema elettorale al nuovo riparto derivante dal rinnovato assetto costituzionale.

Ciò ha reso l’attuale legge elettorale immediatamente applicabile, poste le criticità in termini politici relative alla composizione dei collegi uninominali del Senato.

Il dibattito però non si ferma ed oramai sembra un lontano ricordo la volontà delle forze di maggioranza del Governo Conte II di convergere sul ddl AC 2329 a firma dell’On. Brescia (M5S) che vede un sistema elettorale principalmente di tipo proporzionale.

Una cosa però è certa: più il tempo passa, più è concreto che alle urne si vada con l’attuale normativa.

Riforma dei regolamenti parlamentari

Parallelamente alle riforme costituzionali, la riduzione del numero dei parlamentari comporta la inevitabile necessità di procedere ad una riforma dei regolamenti di Camera e Senato, al fine di adeguare la nuova consistenza numerica dei due rami a tutte le procedure, attività e quorum necessari all’ordinato funzionamento degli organi parlamentari.

Nello specifico, in ambo i rami del Parlamento è stato avviato l’esame delle proposte di modifica presso le rispettive Giunte per il regolamento, con un iter che al Senato appare – al momento – in uno stato più avanzato rispetto alla Camera.

Nel seguito, dunque, proveremo a rispondere alla consueta domanda: a che punto è l’iter di riforma dei regolamenti parlamentari?

Procedendo con ordine, alla Camera l’iter è fermo alla seduta del 27 aprile della Giunta per il regolamento, nell’ambito della quale è stato assunto un nuovo testo base per la riforma regolamentare. Il termine emendamenti è stato fissato a mercoledì 11 maggio, all’esito del quale tuttavia non sono note le proposte di modifica presentate. In ogni caso, dal momento che la riforma non è inserita nell’ultimo programma dei lavori d’Assemblea – seppur con riserva di possibile integrazione, in relazione ai lavori della Giunta per il regolamento – è lecito attendersi che l’Aula avvierà il proprio esame non prima del mese di settembre.

La riforma del regolamento all’esame, tra i principali contenuti, prevede:

  • la riduzione dei componenti dell’Ufficio di presidenza;
  • una norma in base alla quale Vicepresidenti e Segretari che cessano di far parte del Gruppo parlamentare di provenienza decadono dall’incarico;
  • il numero minimo per la costituzione di un Gruppo passa da 20 a 14 deputati;
  • il numero minimo per formare Gruppi in deroga viene fissato a 7 membri (invece di 10), con condizioni stringenti: costituzione non oltre il primo anno della legislatura e rappresentatività (partito o movimento politico). Sono previste inoltre analoghe modifiche per componenti politiche del Gruppo misto;
  • un taglio alla consistenza numerica di organi interni e ai quorum per singole attività e funzioni;
  • non è prevista una riduzione numerica delle Commissioni permanenti.

Al Senato, la proposta di riforma è stata istruita dalla Giunta per il regolamento nelle sedute del 26 e 27 aprile, nell’ambito delle quali ha proseguito l’esame del testo base e degli emendamenti.  Dunque, alla sua conclusione, la Giunta ha formulato una proposta di modifica che sarà sottoposta all’attenzione dell’Assemblea nella seduta di giovedì 7 luglio, con termine emendamenti in Aula fissato alle ore 10 di martedì 5.

Pertanto, in base a quanto si apprende dal testo della proposta di modifica calendarizzata in Assemblea, i punti salienti della riforma sono i seguenti:

  • non è prevista la riduzione dei componenti del Consiglio di presidenza. I suoi membri che cessino di far parte del Gruppo di riferimento decadono, salvo il caso del Presidente nell’esercizio della supplenza del Capo dello Stato;
  • il numero minimo per la costituzione di un Gruppo viene portato a 7 senatori, dai precedenti 10. Sono inoltre previste ulteriori norme di dettaglio in tema di Gruppi in deroga e componenti politiche del Gruppo Misto. Infine, per la prima volta viene introdotta la possibilità per i senatori di non essere iscritti ad alcun Gruppo;
  • a differenza del testo base di riforma in discussione alla Camera, è prevista una riduzione delle Commissioni permanenti da 14 a 10, con l’accorpamento di:
    • Affari esteri – Difesa;
    • Ambiente – Lavori pubblici;
    • Industria – Agricoltura;
    • Affari sociali – Lavoro;
  • con riferimento all’esame dei decreti-legge, similmente alla prassi Camera viene previsto che gli emendamenti approvati in Commissione siano ricompresi in un testo consolidato da sottoporre all’Assemblea (cosiddetto “testo-A”) di modo da evitare una duplicazione dell’esame;
  • anche al Senato, come alla Camera, viene prevista l’istituzione di un Comitato per la legislazione, tra i cui profili di competenza viene inclusa anche la valutazione d’impatto;
  • inoltre, è previsto un taglio alla consistenza numerica di organi interni e ai quorum per singole attività e funzioni.

Tirando le fila, la revisione dei regolamenti in ambo le Camere sembra procedere in maniera sostanzialmente regolare, seppur con tempistiche differenti tra i due rami. Al Senato, soprattutto, è stata già superata la fase iniziale dell’iter con l’approvazione in Giunta e il previsto passaggio in plenaria – che prevede la maggioranza assoluta per il via libera – risulta già calendarizzato. Diversamente – secondo le informazioni di cui si ha disponibilità – la Giunta della Camera non avrebbe ancora ufficialmente terminato i propri lavori e, dunque, al momento si attende ancora la calendarizzazione della proposta in Aula.

In conclusione – dal momento che una modifica dei regolamenti interni appare necessaria per un’ordinata prosecuzione delle attività delle Camere – è improbabile che non si addivenga ad un accordo politico e, conseguentemente, ad una sua approvazione in tempo utile per il 2023, probabilmente a ridosso della fine della legislatura.