Scenari e tendenze delle conseguenze economiche del conflitto. L’intervista a Luigi Scarola.

1. La composizione degli scambi commerciali tra Italia e Russia quali «vulnerabilità» configura per il nostro Paese? Un eventuale decoupling tra l’economia russa e quelle occidentali quali criticità presenta nel breve periodo?

Il nostro sistema industriale ha da sempre nell’apertura internazionale il suo punto di forza, e non potrebbe essere diversamente data la carenza di materie prime e i settori merceologici su cui è permeato il nostro sistema produttivo. L’Italia è l’ottavo Paese per esportazioni nel mondo e l’undicesimo per importazioni.

In questo quadro la Russia è storicamente tra i nostri principali partner commerciali. Basti pensare che nel 2013, prima delle sanzioni scattate nel 2014 a seguito dell’annessione della Crimea, il volume del nostro export era vicino agli 11 miliardi di Euro. Oggi esportiamo annualmente circa 7,7 miliardi di Euro di merci e il volume delle nostre importazioni dal Paese si avvicina ai 14 miliardi di Euro. Secondo il centro studi Confindustria sono circa 11 mila le imprese che a diverso titolo hanno rapporti commerciali con la Russia e sono oltre 400 quelle che hanno sussidiarie sul territorio, occupando circa 35 mila addetti.

Si stima che le sanzioni generino ad oggi un blocco dell’export di circa 313 milioni di Euro. Un importo rilevante, ma non certamente enorme. Ma quello che più preoccupa è la frenata della crescita mondiale che presumibilmente sarà di circa la metà di quella registrata lo scorso anno, allungando i tempi della ripresa post-Covid. Si stimava che già nel mese di aprile ’22 si sarebbe tornati ai livelli pre-covid, ma la guerra in Ucraina sembra che impatterà con un -0,7% sulla stima di crescita. L’Europa e l’Italia presumibilmente si fermeranno a fine anno al di sotto del 2,5% di incremento del PIL, con evidenti ripercussioni su un mercato del lavoro che continua a mostrare tutte le sue fragilità.

Si apre in sostanza la prospettiva di un periodo di stagnazione con elementi preoccupanti. L’inflazione, infatti, unita all’impatto sull’export e al rallentamento dell’economia è il terzo grande ambito di impatto delle sanzioni.

L’incremento dei prezzi è oggi ampiamente percepibile e si stima un tasso di inflazione vicino al 7% su base annua. Un incremento che seppur spinto dall’innalzamento (ingiustificato) dei costi energetici, non è detto che esaurisca il suo effetto se i prezzi energetici dovessero tornare ai livelli pre-crisi.

Oramai gli aumenti si sono manifestati non solo nelle materie prime, ma anche nei beni di consumo e generi alimentari e naturalmente le ricadute sulla spesa delle famiglie sembra già evidente. Questo porterà presumibilmente ad interventi di politica monetaria restrittivi con un incremento dei tassi di interesse e conseguente frenata dell’economia.

È pertanto necessario intervenire prontamente con misure a supporto delle fasce più deboli a contenimento dei rischi di una recessione che molti investitori danno per certa e che rischia di scaricarsi pesantemente sui redditi più bassi.

2. In un contesto di interdipendenza economica il costo delle sanzioni, come noto, non ricade sui soli destinatari ma anche, e in alcuni casi soprattutto, sui promotori. Quali sono le aree merceologiche italiane maggiormente interessate, in modo diretto o indiretto, da questa guerra?

In un mondo fatto di connessioni sociali e interrelazioni economiche oramai consolidate le sanzioni non possono certo preventivamente delimitare il loro raggio di azione e finiscono col colpire alla cieca.

L’aumento dei prezzi energetici, seppur per ora limitatamente riconducibile in maniera diretta alle sanzioni, stanno mettendo in difficoltà molti comparti della nostra economia, soprattutto quelli ‘energivori’ (ceramiche, vetro, chimica, acciaio, cementifici, cartiere…), ma non solo.  Il blocco dell’import dalla Russia colpisce e avrà effetti importanti sul settore agricolo e non tanto per il grano, facilmente sostituibile, quanto per gli olii vegetali (in primis l’olio di girasole) e soprattutto per i fertilizzanti, dato che i prodotti importati dalla Russia sono tra i pochi a rispettare i parametri Ue sui residui inquinanti da cadmio.C’è poi il tema dei materiali destinati alle nostre lavorazioni di eccellenza come il titanio per la meccanica o l’argilla per le ceramiche.

Ma non è solo industria. Il turismo russo nel periodo pre-covid generava una spesa stimabile il 2 miliardi e mezzo di Euro l’anno, risorse che verranno meno ad un settore già provato dalla crisi Covid.

Sul fronte delle esportazioni, la Russia costituisce sicuramente un mercato importante, ma non è tra i principali (l’Italia esportava fino al 2014 il 2,7% del volume complessivo estero, oggi poco più del 1,5%). Vi sono però imprese che operano da anni e in maniera intensa con il Paese. Tra queste vi sono le 16 grandi imprese (Pirelli, Generali, Enel, Unicredit, Marcegaglia, Barilla…) che hanno partecipato alla controversa riunione con Putin lo scorso 26 febbraio, ma anche realtà di più piccola dimensione.

Nel 2019 abbiamo esportato macchinari e attrezzature per 2,2 miliardi di euro, abbigliamento per altri 2 miliardi, prodotti chimici per 0,5 miliardi e mobili per 0,3 miliardi.

È necessario un monitoraggio attento dei settori esposti in modo da programmare a livello europeo e anche nazionale adeguati strumenti di intervento.

3. Uno studio del Kiel Institute del 2016, sui costi delle sanzioni comminate alla Russia per l’annessione della Crimea nel 2014, rivelava che il 92% degli stessi era ricaduto sull’Unione europea. Nel dettaglio: il 38% del commercio occidentale perso era stato sopportato dalla Germania, il 6,6% dalla Francia e, poi, l’8,7% dal Regno Unito e lo 0,3% dagli Stati Uniti. Il convitato di pietra delle sanzioni euro-atlantiche contro Mosca sono ancora i costi asimmetrici delle sanzioni. In occasione del Consiglio europeo del 10 e 11 marzo a Versailles si era parlato allora di un nuovo «Piano di resilienza europeo» con cui, tra le altre cose, mutualizzare i costi delle sanzioni alla Russia. Che dimensioni dovrebbe avere un siffatto piano? È auspicabile in questo scenario una sospensione sine die del patto di Stabilità e Crescita?

Si parla di un recovery di guerra per circa 100 miliardi di Euro a livello europeo, ma è difficile oggi stimare le dimensioni del Piano che auspicabilmente dovrà essere messo in campo. Si registrano, tra l’altro, tensioni sull’adozione delle ulteriori sanzioni tra i Paesi membri. C’è un tema di penali per i contratti in essere che sembra pesare molto sulla Germania.

Tuttavia, qualunque sarà la dimensione del Piano, non possiamo certo pensare di mutualizzare l’intero costo delle sanzioni. Sarebbe già sufficiente se l’approccio fosse analogo a quello adottato per il post-covid con il PNRR: una raccolta fondi a scala europea e una ripartizione in base ai danni generati dalle sanzioni stesse. Serve un’analisi puntuale e attenta dei danni anche in chiave prospettica e certamente anche una sospensione sufficientemente lunga del patto di Stabilità. Servono misure a sostegno dell’occupazione e delle famiglie, oltre che interventi per settori economici in crisi.

È un’operazione complessa, ma non impossibile. Il fattore tempo è dirimente per evitare che la crisi economica conseguente alla guerra moltiplichi i suoi effetti segnando l’avvio di un difficile periodo di recessione.

C’è poi un tema che riguarda l’avanzamento del programma Next Generation EU che deve essere affrontato. Il PNRR costituisce un’occasione unica, non solo per i fondi messi a disposizione, quanto per la portata programmatoria che è in grado di attivare. Un’occasione che non deve essere messa in secondo piano per lasciare spazio all’emergenza. Serve uno sforzo perché una dilazione dei tempi rispetto agli impegni presi non si riverberi in un allentamento dell’attenzione: un’ennesima occasione persa per innovare il sistema economico e sociale del nostro Paese.

Luigi Scarola. Economista, Direttore dell’Area di Sviluppo territoriale ed Economia Sociale di Nomisma S.p.A. Da oltre vent’anni svolge attività di accompagnamento ad imprese e amministrazioni pubbliche nella definizione di programmi di sviluppo economico e analisi di impatto. Nel corso della carriera professionale ha coordinato oltre novanta interventi di sviluppo strategico. È autore di pubblicazioni in ambito economico e sociale.