Manuale di sopravvivenza alle elezioni europee 2024

Sono ormai imminenti le elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno, che designeranno i prossimi 76 membri italiani del Parlamento europeo. Le forze politiche si approssimano al primo vero banco di prova elettorale dopo le politiche del 2022 con aspettative molto diverse e nell’attesa di un risultato che potrà meglio definire dinamiche e rapporti di forza non solo nei consessi europei, ma anche e soprattutto in chiave nazionale. Può quindi essere utile ripercorrere regole e processi che contribuiranno a definire il quadro in cui i partiti dovranno muoversi, risultati alla mano, per meglio far valere le proprie prerogative a livello unionale, nonché i timori e le speranze con cui questi stanno approcciando l’appuntamento.

Come noto, la legge elettorale muove su uno schema di tipo proporzionale, con soglia di sbarramento al 4%. L’elettore potrà esprimere fino a tre preferenze, esercitando il proprio diritto sulla base di cinque grandi circoscrizioni territoriali: Nord- Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, e Isole. All’esito del voto il Consiglio europeo, dopo appropriate consultazioni e deliberando a maggioranza qualificata, sarà chiamato a proporre il candidato alla carica di Presidente della Commissione al Parlamento europeo, che lo confermerà o meno votando a maggioranza.

All’elezione del Presidente farà seguito la formazione della Commissione, i cui candidati vengono scelti dal neoeletto Presidente a partire una rosa di nomi indicata dalla Stati membri, previa approvazione del Consiglio. I commissari designati sono in seguito chiamati a comparire in audizione dinanzi alle competenti commissioni parlamentari. Tale passaggio risulta invero dirimente, essendo già capitato in passato che candidati commissari siano stati spinti a ritirare la propria candidatura dopo l’esito negativo del voto della commissione competente sulla loro persona. La procedura si chiude con la votazione per l’approvazione da parte del Parlamento europeo e con la successiva nomina del Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata. Sono sottoposti al voto non solo il Presidente e i candidati Commissari, collettivamente, ma anche l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Dato tale quadro, le aspettative sugli equilibri che dovrebbero instaurarsi nel prossimo Parlamento europeo delineano un quadro tendenzialmente conservativo. Dalle ultime rilevazioni disponibili emerge un possibile esito elettorale in sostanziale continuità politica col recente passato. Al momento appare cioè remota l’ipotesi, cara all’ex Presidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR), Giorgia Meloni, di spostare a destra gli assetti politici dell’Unione e formare una “maggioranza alternativa”, con cui designare il Presidente della Commissione sostituendo i socialisti con i conservatori, nell’ambito realisticamente di un’alleanza con popolari e liberali. I numeri per dar corso a questa ipotesi sembrano, infatti, mancare in Consiglio europeo, cui spetta indicare con maggioranza qualificata il candidato presidente di Commissione, e in Parlamento europeo, dove occorre ottenere poi la maggioranza semplice ovvero 361 voti. Sondaggi alla mano (Politico, Poll of Polls, aggiornato al 6 maggio 2024), gli schemi coalizionali con una “maggioranza alternativa” a quell’attuale non passerebbero, infatti, il vaglio del Parlamento.

Guardando invece alle legittime aspettative dei partiti italiani, spicca l’obiettivo di Fratelli d’Italia, che mira a confermare – ed anzi a migliorare – il brillante esito delle ultime politiche, avendo in vista il 30% degli scrutini. La sconfitta della destra alle elezioni polacche con la conseguente riduzione del peso dei conservatori in seno al Consiglio europeo e le previsioni di voto attualmente disponibili rendono poi concreta l’ipotesi che Fratelli d’Italia, membro di ECR, voti in favore di un Presidente di Commissione in continuità politica col recente passato, senza che vi sia cioè un qualche formale allargamento a destra dell’attuale “maggioranza”. Un sostegno alla nuova Commissione che sarebbe figlio di un calcolo di opportunità e convenienza politica, al pari di quello fatto dalla destra polacca nel 2019.

Dato per assodato il supporto di Forza Italia (membro del PPE) ad una soluzione comunitaria che abbracci la continuità, l’incognita principale è rappresentata dalla Lega (ID), che sta tentando in ogni modo di differenziarsi politicamente dai concorrenti meloniani. Entrambe le forze sono in ogni caso impegnate in una contesa all’ultimo voto per superarsi reciprocamente e raggiungere la quota del 10%. Salvini arriva all’appuntamento con un partito in rivolta per la candidatura del generale Vannacci e in chiara difficoltà nei rapporti con Meloni. Tajani, invece, ha il vento in poppa dopo le buone performance registrate dagli azzurri alle regionali in Abruzzo, Basilicata e Sardegna.

Non mutano invece i venti dell’opposizione, che continua ad apparire divisa e debole nel suo complesso. Attorno ai rapporti e alla distanza da stabilirsi col Governo si è consumata la rottura dell’ex Terzo Polo, con i due tronconi residui che paiono privi di appeal elettorale e, in ultima istanza, accusare la subalternità nei confronti della dinamica bipolare che si proponevano di contrastare. Resta n bilico, per entrambe le liste di Azione ed Italia Viva (in formazione con +Europa in una lista denominata Stati Uniti d’Europa), l’obiettivo del 4% per superare lo sbarramento delle europee ed eleggere parlamentari.

Il voto proporzionale accentua infine la dinamica competitiva tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. A portata di mano il 20% per Schlein, che prosegue con immutata cautela e circospezione nel tentativo di stabilizzare attorno alla sua leadership un quadro politico interno estremamente frastagliato e litigioso. Invece Conte, che punta a mantenere il 15% delle politiche 2022, intende dare con questo voto un volto più autorevole ed internazionale al Movimento 5 Stelle, consolidando la sua presa sulla formazione.

Spostandosi poi sul piano delle ipotesi post-elettorali, si può anzitutto soppesare la paventata possibilità di qualche mutamento all’interno della compagine governativa, che potrebbe concretizzarsi in un rimpasto, cui darebbe adito non solo la più puntuale definizione degli equilibri di forza all’interno della maggioranza, ma anche l’inclusione di qualcuno degli attuali ministri nella rosa dei papabili futuri commissari.

Entra in gioco, in questa prospettiva, anche l’ex Premier e Presidente BCE Draghi, sempre in possibile lizza per un incarico europeo di primo piano, intendendosi con ciò il vertice della Commissione o del Consiglio. Tale prospettiva non potrebbe che scaturire da un eventuale più ampio accordo tra i principali stati nazionali, da una parte, e le principali forze politiche europee, dall’altra. Sarebbe quindi chiamata ad un sostegno anche Meloni, pur nella consapevolezza che contribuire all’indicazione di Draghi presidente di Commissione implicherebbe l’impossibilità di designare un “proprio” commissario: incarico per il quale è in pole position l’attuale Ministro per i rapporti con l’Ue Fitto, fornito di una solida esperienza europea, con Urso o Lollobrigida in subordine.