Le inchieste tv: assalti frontali o libera informazione?

⏱    4 minuti di lettura

Le inchieste televisive rappresentano un momento difficile, a volte molto difficile per i protagonisti, siano essi aziende, politici o altri personaggi le cui attività destano la curiosità, che talvolta sfiora i limiti della morbosità, dei giornalisti.

In particolare, negli ultimi anni, alcune realtà come ad esempio Fanpage hanno dato il via ad una modalità di diffusione “in staffetta” con alcuni programmi di approfondimento amplificando il valore mediatico del proprio operato. Senza considerare la capacità di propagazione che i social consentono, grazie alla pratica dello “spillolamento” di contenuti tv per fare teasing di lancio di ogni puntata,

Ma come vengono percepite dall’opinione pubblica le inchieste tv?
Lo abbiamo chiesto agli studenti della seconda edizione del Master della Sapienza in “Rappresentanza di interessi: Lobbying & Advocacy” diretto dal Prof. Avv. Andrea Longo e nato in collaborazione con FB & Associati.

Solitamente, l’istinto, porta il protagonista dell’inchiesta a sminuire non tanto il valore delle tesi avanzate ma a sminuire il valore dell’inchiesta in sé, del giornalista che l’ha condotta e del programma che l’ha mandata in onda. E spesso questa reazione viene resa pubblica, in particolare dai soggetti politici. 

Tutti i nostri studenti, al contrario, evidenziano che si tratti di “un giornalismo di qualità che porta a conoscenza dell’opinione pubblica fatti di rilievo che diversamente faticano ad emergere”, che costituisca “un elemento cruciale nel panorama mediatico contemporaneo, amplificando la visibilità di questioni critiche e apportando un contributo significativo alla trasparenza e alla responsabilità pubblica”, sottolineando quanto sia importante in una democrazia evoluta “sollevare dei dubbi e\o indagare su determinate tematiche e far riflettere i cittadini credo sia un’attività molto importante”.
 
Il merito all’impatto dei soggetti coinvolti, gli studenti hanno dimostrato un grande interesse circa le inchieste a sfondo politico, tema sul quale si registrano pareri discordanti: se da una parte non sono percepite come un “attacco ideologico, bensì come strumento di informazione e di interesse pubblico più dettagliata che altrimenti sarebbero rimaste nascoste”, c’è chi invece sottolinea come possano essere sì, strumento di informazione e di controllo che però debbano essere condotte “con equilibrio e imparzialità, poiché un approccio eccessivamente schierato può ridurne l’efficacia e polarizzare l’opinione pubblica”. 

Proprio sulla polarizzazione alcuni ritengono che “dividano l’opinione pubblica, tra vittima e carnefice che a loro volta subiranno un’ulteriore scissione interna”: nei confronti della prima si creeranno sue fazioni “una parte condannerà fermamente quei gesti” ed l’altra li riterrà “privi di rilievo, destituiti di qualsivoglia fondamento e mirati e danneggiare il partito e\o specifici personaggi che ne fanno parte”, mentre nei confronti del secondo le due fazioni saranno divise tra “giornalismo di parte” e “buon giornalismo”. Su quest’ultimo fronte c’è chi ritiene che “il problema non sia tanto il tipo di giornalismo in sé, ma come lo si conduce (se con serietà e responsabilità nei confronti degli spettatori)” o “guardando esclusivamente all’esigenza di creare scalpore e indignazione”. 

Un pensiero laterale che però ha dei fondamenti di verità sui quali è costruttivo fare una riflessione riguarda “un possibile effetto collaterale di queste inchieste che possono involontariamente fomentare il tipo di aggregazioni e comportamenti che intendono denunciare, conferendo maggiore visibilità e legittimità a persone, in linea con il modus operandi dell’oggetto dell’inchiesta”.
 
Sulle conseguenze delle inchieste si ritiene che, “sebbene nel breve periodo possano causare danni reputazionali immediati, richiedendo risposte decise e tempestive, nel lungo possano invece stimolare miglioramenti significativi nelle politiche e nelle pratiche organizzative”.

Alla positività incoraggiante che traspare sia da quest’ultimo che dalla maggior parte dei contributi ricevuti, affidiamo anche la conclusione di questo articolo: “dovremmo considerare la trasparenza un valore e l’informazione una funzione pubblica di grande importanza. Una comunicazione attenta ed efficace, magari guidata da professionisti esperti, può aiutare a uscire da una situazione di crisi: essere trasparenti nei rapporti con i media e il pubblico non è né semplice né banale, quasi sempre richiede una buona dose di coraggio, ma può essere un’opportunità per dimostrare l’impegno del soggetto coinvolto verso la trasparenza, integrità e la responsabilità”.