Il valore dei talk show nell’ambito della “dieta informativa” di una strategia di advocacy e lobbying

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Gli studenti del Master in “Rappresentanza di interessi: Lobbying & Advocacy” della Sapienza, in collaborazione con FB&Associati, analizzano il ruolo e la valenza dei talk show nella comunicazione politica, e in che modo essi influiscono sulle attività di advocacy e lobbying. 

Nell’ambito delle strategie di advocacy e lobbying indiretto, i talk show televisivi possono senza dubbio costituire uno strumento utile a comunicare ad un pubblico allargato di cittadini e decisori e rendere saliente un tema che il portatore di interessi punta a porre al centro del dibattito pubblico con la finalità ultima di modificare o mantenere una public policy. Dunque, i talk show si configurano come una componente della media strategy. Del resto, l’adiacenza del lobbying ai media è provata dalla centralità degli stessi come fonte di informazione e comunicazione politica, di modifica della sensibilità politica su un tema e dall’influenza che hanno i media sui decisori. Il talk show si presenta al riguardo come uno strumento idoneo a creare un nuovo rapporto, maggiormente stimolante, in cui vengono affrontati temi di interesse collettivo, andando ad instaurare anche una certa forma di “trasporto emotivo”.

In primis, va detto che ad oggi la comunicazione politica è diventata sempre di più strumento indefettibile per mettere in relazione – nell’ordine – il sistema politico, il sistema dei media e i cittadini-elettori. Ne consegue che chi si occupa di Public Affairs deve necessariamente confrontarsi e conoscere gli strumenti che a prima vista sembrerebbero essere appannaggio di giornalisti e politici.
 
L’indagine Censis 2022 mostra come il medium televisivo sia tra i protagonisti della dieta mediatico-informativa degli italiani, che prediligono formare la propria opinione, specialmente quella politica, attraverso i TG e le TV all news, piuttosto che soffermarsi sui quotidiani online, i siti web o i giornali radio.
 
Sotto tale aspetto, il talk show – la cui dimora è, ancora oggi, unicamente la televisione – rappresenta uno degli strumenti principali della comunicazione politica. Il palinsesto è ricco di talk politici dalla mattina fino alla seconda serata, e un gran numero di giornalisti, opinion leader, cariche istituzionali e politici di tutti i partiti si susseguono per spiegare e commentare i fatti del giorno, per elogiare o criticare una proposta o una legge appena approvata, per ”dire la propria”: rappresentare un interesse.
 
Quindi, sotto tale aspetto, è plausibile pensare che il talk show in quanto tale sia uno strumento, se non lo strumento, principe della comunicazione politica.
 
La scelta del talk come strumento di comunicazione acquista quindi una doppia valenza: se da una parte può aiutare a dare salienza ad un tema o creare un dibattito, dall’altra rappresenta uno strumento attraverso il quale arrivare ad un determinato target di riferimento. Perché i talk show televisivi non sono tutti uguali, i canali che li trasmettono altrettanto, e il concetto espresso nel lontano 1964 dal sociologo canadese Marshall McLuhan nel libro “Gli strumenti del comunicare”, nel quale spiega come al variare del media uno stesso messaggio possa assumere significati diversi, si conferma come ancora molto attuale.
 
Ma con quale modalità un’attività di advocacy può inserirsi nel frenetico flusso di un talk show televisivo? Occorre fare una premessa: la dinamica sottesa alla creazione di un talk show tv è quella di creare due fazioni contrapposte: favorevoli e contrari ad un tema. Prima ogni puntata, al giorno d’oggi ogni blocco – spazio di trasmissione tv compreso da due pause pubblicitarie – affronta un diverso tema di attualità che, nella maggior parte dei casi, deve prestarsi a destare la maggiore polarizzazione possibile (ad esempio reddito di cittadinanza, immigrazione, cambiamento climatico). Il format poi richiede che ogni posizione sia portata avanti da un “leader” che arriverà a scontrarsi con il suo opposto affinché il tema stesso sia sempre più polarizzato e porti la discussione su altri (social) media.
 
I gruppi di interesse, sebbene siano coloro che puntano ad un obiettivo concreto e ben preciso, potrebbero quindi risultare “terzi” qualora fossero capaci di rappresentare un intero settore, spiegarne le ragioni attraverso un’analisi del contesto attuale, uscendo da quel manicheismo tipico del talk televisivo, arrivando a fornire una visione strategica dei possibili scenari futuri.
 
Questa attività, nel medio e lungo periodo, potrebbe portare all’accettazione, da parte di giornalisti e conduttori tv, di nuovi storyangle sui temi in oggetto.
 
Si pensi, al riguardo, alla presenza stabile di rappresentanti di associazioni di categoria e/o di settore come ospiti fissi. Spokeperson particolarmente capaci, dotati di una buona forza comunicativa possono essere di supporto al conduttore perché in grado di spiegare in modo semplice temi complessi ma centrali nella vita di ognuno di noi.
 

I partecipanti al Master in “Rappresentanza di interessi: Lobbying & Advocacy” della Sapienza