Elly Schlein: limiti e opportunità di una nuova leadership

In quest’intervista esclusiva di FB&Associati, il Professor Lorenzo Viviani ci parla del fenomeno Elly Schlein. Esistono due PD? Quali sono i punti di forza e di debolezza della sua leadership e cosa ci si può attendere? Quali saranno gli effetti della segreteria Schlein nella dinamica d’opposizione?

Lorenzo Viviani è Professore ordinario di Sociologia dei fenomeni politici presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, dove insegna Sociologia Politica, Sociologia della Leadership e Democrazia e Società. I suoi interessi di ricerca riguardano i partiti politici, la leadership, la democrazia e il populismo.

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1. L’esito della consultazione degli iscritti dem è stato sconfessato da quello “aperto” a tutti gli elettori. Pur essendo espressamente prevista dalle regole di partito, questa situazione paradossale che ha visto prevalere, prima, Bonaccini e, poi, Schlein non si era mai verificata in passato. Un inedito cui se ne combina un altro: Schlein formalmente è, infatti, una neo-iscritta. Accantonando il pur importante tema della perdita di peso e rilievo della membership, cosa rivelano queste circostanze? Esistono due Pd? La designazione di una “nativa” dem manda in soffitta l’idea che questo partito sarebbe la sommatoria di Ds e Margherita?  

Le elezioni primarie come “mito fondativo” del Pd sono state pensate come processo di rafforzamento della legittimazione della leadership in un partito che nasceva da due storie identitarie e organizzative, l’evoluzione del Pci e della Dc (nelle sue componenti di sinistra), che affidavano alla leadership un ruolo rilevante ma non personalizzato. Ricorrere a un “selettorato” ampio nella fase nascente del partito significava evitare che si ripetessero leadership come quella di Prodi dell’Ulivo, di fatto un leader senza partito, forte nell’elettorato ma debole nella struttura interna del potere di partito. Così come a rafforzarne l’immagine pubblica a fronte di una membership di partito in drastica riduzione, di numeri ma anche di reale capacità rappresentativa degli elettori.  

Ma le primarie hanno altri effetti. Le primarie contribuiscono a rafforzare in maniera determinante la disintermediazione fra elettori, anche potenziali, e leadership, e così facendo opera lo svuotamento del potere dei corpi intermedi del partito. Per di più, a fronte di un partito “a bassa intensità identitaria”, la leadership contribuisce alla personalizzazione della immagine pubblica dell’organizzazione. Il Pd ha alternato elezioni primarie di legittimazione con elezioni primarie di selezione, quest’ultime particolarmente laceranti all’interno del partito (Bersani vs Renzi). Negli ultimi anni, specie dopo la scissione della componente renziana, la membership del Pd, i suoi iscritti e i quadri intermedi, costituiscono una base rappresentativa sempre più limitata rispetto all’elettorato del partito, con logiche di mobilitazione diversa rispetto a quelle di un selettorato ampio come quello che il Pd continua a riconoscere a chiunque si presenti alle urne con il minimo contributo di due euro.  

Proprio l’elettorato ampio, il “popolo delle primarie”, configura una nuova forma leggera della membership di partito che si identifica in un’area politica e in alcuni valori, ma è estranea, quando non ostile, alle dinamiche correntizie del partito. La vittoria di Bonaccini sul fronte interno e la successiva prevalenza della Schlein, 53,8% contro il 46,2%, non rimandano all’esistenza di due partiti, il Pd degli iscritti e il Pd degli elettori, ma alla considerazione che i processi di coinvolgimento nelle campagne di iscrizione ai partiti mobilitano persone su basi parzialmente diverse da quelle dell’elettorato.  

Questo non vuol dire che vi sia una incompatibilità o una necessaria tensione fra i due “selettorati”, quanto invece testimonia che la Schlein, come altri prima di lei, ha interpretato una richiesta di novità, e di rottura, rispetto agli equilibri interni dell’organizzazione di partito. Schlein è una nativa dem, e neo-iscritta, tuttavia non è aliena, né del tutto nuova o outsider rispetto alla politica. Deputata europea, attiva in Occupy Pd, vicina a Civati, Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, deputata dal 2022. La novità deriva dal suo non essere avvertita come espressione dell’establishment degli ultimi anni, quando il partito in nome della responsabilità ha dato l’idea di essere il principale partito delle istituzioni, guardando più alla governabilità che alla ricostruzione delle basi sociali.  

Al tempo stesso l’effetto Meloni, la donna leader che per la prima volta è arrivata a Palazzo Chigi, per di più da destra, ha favorito l’emergere di una leader donna e giovane, due aspetti quasi di per sé rivoluzionari in un paese con un problema di classe dirigente (politica e non). Tuttavia, la Schlein aveva tra i propri sostenitori anche personalità importanti del “tradizionale” ceto politico dirigente del Pd, primo fra tutti Franceschini. Inoltre, a parte la fuoriuscita di poche personalità legate alla tradizione moderata interna (per altro già ampiamente marginali rispetto al partito), non sembra potersi verificare una scissione verso il Terzo polo, né la costituzione di “due Pd”, anche perché la frammentazione correntizia interna, segnata dalla presenza di sempre minor ceto politico selezionato dalle precedenti gestioni del partito, si trova in una fase di ridefinizione continua. Schlein e Bonaccini, quest’ultimo divenuto Presidente del partito, rappresentano stili di leadership diversi, ma non incompatibili. L’anima “movimentista” della Schlein è funzionale alla fase di opposizione, mentre la “responsabilità del buon amministratore, pragmatico e realista” non si traducono in un dissenso sull’identità, visto che l’identità è ancora ampiamente da costituire.  

2. Tra le varie proposizioni critiche del nuovo corso dem quella che si è fatta maggiore strada nel discorso pubblico denuncia i limiti intrinseci di questa leadership. Il profilo Schlein sarebbe cioè privo di ogni capacità di espansione del consenso tra i settori della cosiddetta Italia profonda, fortemente ancorati come sarebbero ad un conservatorismo oggi incarnato da Giorgia Meloni. Al netto della tendenza ad eternizzare questi dati, riducendo quindi la politica ad amministrazione dell’esistente priva quindi di ogni capacità trasformativa, quali sono i punti di forza e di debolezza della leadership Schlein? E quali i riferimenti politico-culturali?  

La leadership di Schlein ha due aspetti che necessitano di essere valutati. La sua rappresentazione mediatica e la sua traduzione reale in termini di governo del partito. Sicuramente Schlein porta con sé alcuni caratteri “postmaterialisti”, ossia di maggior attenzione ai diritti civili, ai temi dell’ambientalismo e del femminismo, che la collocano in quel nuovo spazio della politica che ridisegna per la politica progressista la polarità di conflitto sociale e politico contraddistinta come green e libertarian.  

Al tempo stesso la Schlein si colloca nel solco di quella intersezionalità che assume le diseguaglianze come espressione di una relazione fra economia, cultura, genere, come dimensioni che costituiscono una trama da affrontare nella sua complessità e non scindendo diritti civili da riforme economiche. Certo, il vulnus di una tensione fra la sinistra mainstream e la destra che si è imposta come referente simbolica della maggioranza silenziosa, l’Italia profonda, alle prese con i problemi di sicurezza, con la paura di un decadimento economico, con la riaffermazione identitaria di uno stile di vita da preservare a fronte delle minacce provenienti dall’esterno (globalizzazione, migrazioni, guerre, crisi economiche), esiste e produce i propri effetti almeno dall’inizio degli anni Duemila.  

Il Pd come partito dei “centri storici e delle ZTL” avrebbe quindi una inevitabile accentuazione del carattere di esclusività sociale e culturale con la leadership Schlein? In realtà il superamento del profilo di un partito che tutela ceti sociali privilegiati, o culturalmente avanzati, sarà un terreno chiave per valutare la nuova leadership. Tuttavia, questa rappresentazione del Pd chiama in causa la capacità egemonica costruita nel discorso pubblico dalla destra, italiana e non, nel corso degli anni. Schlein si pone come contro-discorso egemonico, affermandosi in ragione di una scelta di argomenti e di affermazione di valori che non temono la rottura con lo schema attuale del dibattito pubblico. 

In primo luogo, la Schlein sembra rivolgersi alla ricostruzione di un legame con quell’elettorato della sinistra che si è distaccato, e disincantato, rispetto al Pd negli anni della sua virata “neo-blairiana” e della sua assunzione di responsabilità di governo anche in assenza di vittoria elettorale. Sembra infatti che il primo effetto della sua leadership possa essere il “ritorno a casa” di una serie di elettori persi fra il non voto e l’approdo, più o meno in chiave di protesta, ad altri partiti, primo fra tutti il Movimento 5 Stelle. Il Pd ha sofferto per anni di un problema non tanto di mancata integrazione di ceto politico ex Ds ed ex Margherita, quanto di un perimetro identitario capace di generare riconoscimento e appartenenza. 

L’esperienza della scorciatoia della personalizzazione della leadership e della supplenza del leader al posto di un’identità difficile si è rilevata contingente e non adatta a ricostruire una soggettività politica al partito della sinistra riformista. La Schlein, una leader giovane e donna in opposizione al passato recente del partito, con una maggior attenzione alla dimensione collegiale della leadership, ancorché non abdicando al correntismo come pratica delegittimante della sua stessa leadership, offre in questo senso una possibilità di un nuovo corso. Tuttavia, una tale disposizione andrà valutata sulle scelte concrete in termini di governo del partito e di capacità di costruzione di quello che è stato definito “il campo largo del centro-sinistra”. 

3. Uno iato sembra separare le composite motivazioni di quanti hanno votato Schlein alle primarie dalla volontà/capacità della segretaria di approntare un progetto politico all’altezza. Schlein non dispone infatti di un proprio personale politico se non di quello che le si è coagulato attorno in occasione delle primarie. Una circostanza che non le aveva comunque consentito di guadagnare la maggioranza in entrambi i gruppi parlamentari: la più importante delle articolazioni dem. Sulla sua testa pende poi la spada del rapporto con le influenti componenti moderate. Cosa è lecito attendersi allora da questa nuova segreteria? Lungo il crinale innovazione/conservazione si gioca il destino del partito? 

La frattura innovazione/conservazione rappresenta ormai da tempo il terreno di scontro politico fra partiti e nei partiti. È pur vero che l’innovazione intesa come capacità comunicativo-dialettica è stata la bolla che ha determinato la rapida ascesa, e il rapido declino, di molte leadership in questi anni. A destra come a sinistra. Da Renzi a Salvini. L’innovazione non passa di per sé dalla mera costruzione del sembiante della leadership, quanto invece dalla sua capacità di individuare e costruire una base sociale di riferimento che sappia fare trama di una società frammentata, ma non irrappresentabile. L’innovazione sta nella capacità di scelta della “parte” da promuovere nella riduzione delle diseguaglianze sociali, abbandonando una cautela tossica nei confronti della depoliticizzazione del conflitto sociale come garanzia di “partito di governo”.  

Per quanto riguarda le “componenti moderate”, anche in questo caso si tratta di capire a quali forze politico-culturali facciamo riferimento. Esiste infatti una radicalità che deriva dalla cultura cattolico-democratica presente nel Pd che non risponde al criterio dei “moderati” intesi nella narrazione del tempo che fu della Dc. I moderati così come espressione di una rappresentazione di elettore centrista da tutelare e da blandire in nome di un regime riformista tranquillo appartengono a una visione del passato che non esiste più. O meglio, continua ad esistere in segmenti di ceto politico che possono avere posizioni di rendita in chiave personale, ma che non esprimono culture politiche.  

Il mondo cattolico che guarda al mondo progressista esprime posizioni tutt’altro che moderate sui temi della guerra, della sanità pubblica, delle migrazioni, dell’economia, della riduzione delle diseguaglianze. Schlein dovrà considerare la differenza fra notabili di area moderata ed elettori culturalmente espressione di sensibilità cattolico-democratiche. La scelta dei primi sarà conservazione. La valorizzazione dei secondi sarà innovazione. La stessa questione dei diritti civili non segna una frattura fra cattolici e laici nel Pd, almeno non nei termini banalizzati e manipolati che vengono veicolati nel dibattito mediatico. Ciò che avviene nella società è diverso, e più avanzato, rispetto alla rappresentazione delle fratture che viene narrata nella politica.  

Ma del resto è così da sempre. Basta ricordare i referendum in Italia e il voto degli elettori “cattolici”. Se la Schlein dovrà guardarsi dalla china di un Pd inteso come partito radicale di massa non sarà per il conflitto fra cattolici e laici, quanto per l’eventuale assenza di quella trama comune fra diritti sociali e civili, altrimenti riconducibile alla necessità di una comune assunzione di un discorso politico che sappia tenere insieme economia e società, diseguaglianze sociali e diritti civili, in una dimensione in cui la dimensione collettiva dei diritti non si limita all’individualismo liberale.

Tutto questo si dovrà tradurre anche nella scelta di una squadra a sostegno della leadership, terreno su cui la Schlein dovrà resistere sia alla tentazione avuta da suoi predecessori in passato di cerchi magici, selezionati per fedeltà ma non sempre per competenza, sia dalla deriva “cencelliana” di offrire una rendita di posizione a tutte le componenti del ceto politico correntizio. Forse questo sarà il terreno su cui misurare a più breve termine la capacità di innovazione della Schlein. E ne vedremo testimonianza dalla ripresa di una formazione e selezione politica nel partito più attenta alla solidità delle capacità politiche, non solo amministrative, rispetto alla “notiziabilità” mediatica di candidature estemporanee. 

4. Salvo inciampi le elezioni europee della tarda primavera 2024 rappresentano il primo vero banco di prova del Governo Meloni. Né le regionali in Friuli e Molise, né le amministrative sembrano poter impensierire, anche in astratto, l’attuale compagine di Governo. Per le opposizioni il discorso sembra invece diverso: ad un’esaltazione delle differenze politico-programmatiche, proprie di una competizione proporzionale quale è la tornata europea, si contrappone il disperato bisogno di svolgere in modo coordinato quella funzione di interdizione e controllo, mancata in questi primi della XIX legislatura. Quali scenari delinea l’avvento della segreteria Schlein nella dinamica parlamentare di opposizione? 

Le elezioni europee saranno un banco di prova più “interno” alle coalizioni che fra maggioranza e opposizione. Il Governo Meloni, nonostante le numerose incertezze, non sembra a breve veder sfaldata la sua tenuta, anche in ragione di una distribuzione di forze interna che lascia spazio a rendite di posizione da parte di alcuni partiti attraverso la minaccia di veti, senza tuttavia mettere a repentaglio la stabilità di un assetto da cui beneficiano tutte le forze della maggioranza.  

Per le opposizioni il discorso sarà diverso, perché il “peso” delle singole forze in una competizione che non ha vincolo di governo, e che anzi misura la vitalità dei singoli partiti, potrebbe portare a un ulteriore ritardo nella costruzione di un dialogo fra Pd, M5S e tutti quei soggetti che si trovano all’opposizione. Le elezioni europee saranno un banco di prova per la leadership Schlein, ma ancor di più lo sarà il coordinamento dell’opposizione nel Parlamento, perché dai banchi dell’opposizione può costruirsi quel “fronte” comune fra forze diverse in grado di affermare un’alternativa, di proposte, ma anche di cultura politica, in grado di ritessere un processo di fiducia e di connessione, anche “sentimentale”, fra gli elettori riluttanti, dispersi, disincantati, e un partito come il Pd.  

Con una cautela per la leader Schlein. La politica contemporanea è inevitabilmente personalizzata, ma perché si possa parlare di politica e non di scorciatoie effimere della celebrity politics occorre che le leadership non risolvano i partiti e che quindi i partiti sopravvivano alle singole leadership.