Come cambia la nostra vita onlife

Sull’Huffington Post proviamo, in 5 punti, a fotografare lo stato dell’arte, a prevedere le prossime evoluzioni, e a indicare le mosse potenzialmente più efficaci per chi opera nel settore della comunicazione

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Sono passati 20 anni dalla creazione di Facebook, il primo social network con una diffusione di massa. Immersi come siamo nel vortice dell’onlife, la continua interazione tra la vita reale (fisica) e quella digitale, rischiamo di perdere di vista i grandi cambiamenti nel mondo della comunicazione. Proviamo dunque, in 5 punti, a fotografare lo stato dell’arte, a prevedere le prossime evoluzioni, e a indicare le mosse potenzialmente più efficaci per chi opera nel settore.

Primo fenomeno da tenere in considerazione è il passaggio da un modello di social network a quello di social media entertainment. I social nascono come luogo di rafforzamento e ampliamento della rete di relazioni personali, in cui aggiungere – ricordate le richieste di amicizia? – la collega, il cugino, i nuovi amici dell’Erasmus. Nel corso degli anni, complice l’impatto disruptive di TikTok, le piattaforme si sono trasformate in luoghi di esplorazione di nuovi contenuti multimediali, in cui creator e influencer hanno assunto un’importanza sempre maggiore. La parola chiave è, appunto, intrattenimento: le logiche hollywodiane di videoproduzione hanno acquisito sempre più peso e i contenuti mossi (vedi i reels) hanno prevalso su quelli statici, con una conseguente evoluzione degli algoritmi, che sempre più spesso mostrano agli utenti i contenuti per loro più attrattivi, a prescindere dalla vicinanza con chi li pubblica. Come si resta al passo degli algoritmi? Specializzandosi nella produzione di contenuti multimediali, investendo sulla creatività e alzando la qualità delle pubblicazioni in modo da soddisfare le aspettative degli utenti.

La seconda riflessione di scenario riguarda l’ambiente (o meglio, gli ambienti) i cui i cittadini formano le proprie opinioni. Come racconta il Digital News Report 2023 del Reuters Institute, la dieta mediatica degli italiani è composta da più canali: il 70% si informa online (social inclusi), il 69% attraverso la tv, solo il 16% sulla carta stampata (ma i siti di news restano vivi e vegeti: ad esempio Repubblica.it viene consultato nel giorno medio da oltre 3 milioni di utenti unici). Se i social sono attualmente il principale motore di ricerca delle notizie, l’intelligenza artificiale – game changer del momento – in futuro potrebbe diventare lo strumento primario per la ricerca di informazioni, con tutti i dubbi etici, di efficacia e di reiterazione di bias del caso. Non solo: può già essere utilizzata come strumento di supporto per la creazione di contenuti, motivo per cui ogni organizzazione che vorrà rimanere al passo con i tempi, soprattutto nel campo della comunicazione, deve farci i conti.

Veniamo al terzo ambito di analisi: su quali canali è preferibile investire? Dipende dagli obiettivi e dal target di riferimento. Se ci basassimo sui volumi, la decisione di puntare sul gruppo META sarebbe scontata. Facebook (seconda fonte d’informazione degli italiani dopo i telegiornali – fonte Censis), Instagram e WhatsApp raggiungono in Italia i 40 milioni di utenti, con l’aggiunta di Threads. Ma ci sono un paio di “ma”. Il primo è il continuo calo dell’engagement, ossia il numero di persone che interagiscono con i contenuti pubblicati da una pagina: su una pagina Instagram di 100 follower in media interagiscono poco più di 4 utenti, su Facebook soltanto 2. Ciò costringe i brand a investire sempre di più in social advertising. Secondo “ma”, duro da accettare per gli abitudinari, è che nessuna piattaforma è eterna. Prima o poi il proprietario di un social potrebbe abbassare arbitrariamente la portata di alcune tipologie di contenuti (già avvenuto con quelli politici), rendere obbligatorio un abbonamento, o decidere addirittura di chiudere i propri spazi. Con tanti saluti agli investimenti stanziati dai brand nel corso degli anni. Come tutelarsi? Con un approccio multicanale – integrando anche Youtube, il cui potenziale è spesso sottovalutato, o Linkedin, che, a differenza dei suoi rivali, sta dando sempre più spazio alle news. Ma, soprattutto, puntando sui canali di cui si è realmente proprietari: siti e newsletter. I contatti raccolti (vedi le care e vecchie mail) saranno per sempre nostri, a differenza di quanto avviene con i fan sui social.

Quarto oggetto di riflessione è il Metaverso, ennesima evoluzione che modifica il modo di vivere la nostra vita, digitale e non. A che punto siamo? Il termine è stato reso un po’ più di moda da Mark Zuckerberg, con il cambio di nome del suo gruppo in META, ma lo strumento esiste da anni. Il Metaverso muove da alcune realtà esistenti: quella virtuale, che consiste nella creazione di un mondo digitale parallelo, fruibile attraverso l’utilizzo di dispositivi tecnologici, come ad esempio i visori. La realtà aumentata, che permette una sovrapposizione tra mondo digitale e reale: inquadrando un quadro con il mio smartphone, questo “prende vita e si racconta”. Infine, la realtà mista, che fonde le due realtà permettendo un’esperienza totalmente immersiva. Complice la necessità di utilizzare dei device (al momento molto costosi), la strada per il successo del Metaverso non è affatto scontata. Ma bisogna comunque farci i conti, e l’integrazione con l’AI sarà sempre maggiore.

Veniamo all’ultimo trend: i podcast. Secondo l’ultima ricerca NielsenIQ per Audible, nell’ultimo anno oltre 16 milioni di persone hanno ascoltato podcast in Italia, con un utilizzo maggiore soprattutto tra i giovani (nella fascia 18-34 anni). Se è vero che dagli Usa giungono (fonte Edison Research) lievi segnali di calo, l’ascolto di storie via audio è destinato ad accompagnare le nostre vite, il che offre ottime possibilità di lavorare sul branded content e trasferire messaggi, soprattutto valoriali, attraverso uno storytelling ragionato.

Come abbiamo visto, il panorama è vasto. L’importante è mantenere la bussola rispetto al proprio posizionamento e ai propri obiettivi, razionalizzando al meglio le risorse. In termini di denaro. Ma anche di tempo.

A cura di Pietro Raffa