Interventismo statale & arene di policy

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Nel corso degli ultimi anni stiamo assistendo, più o meno a tutte le latitudini, ad un approccio interventista da parte dei Governi nazionali o, nel caso europeo, delle Istituzioni dell’Unione. Volevo condividere alcune riflessioni nate dalle mie ultime letture sull’argomento che reputo  particolarmente significative.

Due libri e un articolo.

– Nouriel Robini, La grande catastrofe

– Giuliano Amato, Bentornato Stato

Welcome to the era of the bossy state, de L’Economist.

Approcci e tesi diversissimi che comunque convergono su una sull’ analisi dell’attuale situazione e più in particolare sul prepotente ritorno all’interventismo di Stato. Alcuni individuano il turning point nella crisi economico-finanziaria del 2007/2008 che determinò lo sviluppo di politiche monetarie molto espansive (come ad esempio il famoso helicopter money o il Quantitative easing) per evitare il collasso di interi settori economici. E questa tendenza si è rafforzata ulteriormente anni dopo la crisi pandemica e la guerra in Ucraina.

Due macro eventi che hanno messo sotto stress economie e filiere economico produttive. Insomma il grande decennio neoliberista degli anni ’80, con il conseguente retaggio di liberalizzazioni e privatizzazioni di intere settori dell’economia di molti Paesi, sembra ormai lontanissimo dal punto di vista storico e culturale (personalmente parlerei di trentennio, si tenga conto che c’è chi contesta ad es. in Italia che vi sia mai stato QUI). Basti pensare alla differenza di percezione del concetto di globalizzazione: da dinamica salvifica in grado di produrre ricchezza per tutti a spauracchio minaccioso che impoverisce soprattutto il ceto medio dei paesi a capitalismo avanzato. E, come Giuliano Amato sottolinea nel suo saggio, con il ritorno dello Stato è tornato anche il mito dello Stato provvidenza, soccorritore, investitore elemento quindi quasi salvifico nella vita pubblica. E’ nata conseguentemente una domanda politica del tutto nuova e diversa rispetto passato: le costituency elettorali nazionali chiedono ai propri partiti (e conseguentemente ai propri Governi) di agire attivamente proponendo policy in grado di rispondere a domande come la “giustizia sociale” o la lotta ai cambiamenti climatici, di correggere quelle che appaiono le storture della globalizzazione. Come evidenzia l’Economist i segnali di questo cambiamento sono presenti ovunque.

Da un lato la Presidenza Biden ha sviluppato un’agenda protezionistica (meno aggressiva di quella del repubblicano Trump ma comunque…), con conseguenti sussidi a settori economici nazionali (vedi ad esempio quello dei semi conduttori) e un sistema di dazi che altera gli equilibri del libero mercato. Ma lo stesso approccio lo sta seguendo l’Unione Europea spinta a rafforzare la propria autonomia industriale, energetica, ambientale da altri contesti geopolitici (proclami e dichiarazioni ma poca ciccia in Ue). In nome di una “strategicità”, qualifica che viene ormai applicata a moltissimi comparti economici. Lo Stato (intendendo anche le Istituzioni dell’Unione) da mero soggetto regolatore sta trasformando la sua “mission” in soggetto di pianificazione e di indirizzo degli attori economici (è molto netto, molto: più vero negli Usa, meno in europa). Si pensi al settore dell’automotive con la decisione di vietare la produzione e la vendita di autovetture a motore endotermico dal 2035, oppure a quello del packaging dove la regolamentazione indirizza cogentemente verso il riutilizzo; la spinta verso investimenti / aziende / tecnologie green attraverso la definizione univoca dei criteri che rientrano nei parametri della sostenibilità.

Altri esempi? La nascita e applicazione sempre più estensiva della c.d. golden power, il sistema normativo che consente ai Governi di intervenire (bloccando o imponendo particolari condizioni) nelle acquisizioni e/o investimenti in aziende considerate strategiche dal punto di vista dell’interesse nazionale (uso geopolitico dello strumento, stiamo regalando tim non agli usa ma i suoi servizi di intelligence; ita airways ai tedeschi, in un contesto in cui il turismo tra diretto e indiretto fa 11% PIL).

L’approccio interventista è riscontrabile (secondo Roubini) anche in Istituzioni considerate come meramente tecniche come le Banche Centrali che, nel dialogo con i Governi di riferimento, spesso hanno modificato il proprio ruolo: non più solo custodi della stabilità della propria moneta ma soggetti attivi nelle politiche di sicurezza nazionale, ambientale, politica estera. Tale situazione ha determinato effetti anche nella rappresentanza degli interessi. Con l’attivazione sia di quelli che si sentono minacciati dal nuovo approccio statalista; sia di quelli che lo invocano quasi come una clausola automatica di salvaguardia. Le arene di policy quindi sono diventate sempre più “affollate”, ad alta densità di gruppi d’interesse in competizione tra loro e quindi con un’alta intensità relazionale: la necessità quindi di trasferire le proprie richieste in modo più rapido ed efficace rispetto agli altri.

E, sempre le arene di policy, sono ormai ineluttabilmente multilevel: perché le policy sono interconnesse, il decisore non è più ad un solo “livello” (europeo/nazionale/locale) ma su una pluralità di piani che ne complica il presidio e la lettura. I corpi intermedi, per definizione contenitori dei singoli interessi, faticano a trovare una posizione di sintesi tra i propri rappresentati che non sia un semplice no alle proposte di policy.  Non comprendendo che di fronte ad un cambio radicale di scenario il no puro e semplice rischia di comportare l’emarginazione se non l’esclusione dal processo decisionale. O una conflittualità eccessiva con gli attori delle politiche pubbliche. Lo sforzo invece dovrebbe essere sempre quello di dotarsi di un set di dati a sostegno di proposte integrative / alternative rispetto a quelle ritenute non soddisfacenti presentate dal decisore. E di sviluppare sempre più una strategia di alleanze: non solo tra soggetti dello stesso settore o comparto superando divisioni nazionali e/o geografiche. L’interconnessione tra issue e quindi opzioni normative determina anche la necessità di stringere alleanze e azioni comuni con gruppi d’interesse che solo apparentemente appaiono distanti.

I cambiamenti di scenario, il consolidamento di alcune tendenze determina sempre un riassetto delle arene di policy, nei rapporti di forza tra decisori e tra questi e gli stakeholder di riferimento. Dalla lettura di questi cambiamenti deriva una strategia adattativa che, mio parere, è il cardine su cui costruire un’efficace attività di rappresentanza degli interessi.

Fabio Bistoncini